PARTI COMUNI
  ( USO E LOCAZIONE)

12/09/2010 10.32


acqua condotta, aree comuni, ascensore, citofono, portone, fognature, locali comuni, muri maestri, scala ed androne, solaio, sottotetto, 
suolo e sottosuolo, tetti e lastrici solari


PRESUNZIONE DI COMUNIONE


"Il titolo idoneo a vincere  la presunzione scaturente dall'art. 1117 codice civile di comproprietà di alcune parti dell'edificio comune o di strutture comuni ad edifici distinti ed autonomi, deve rivestire ad substantiam la forma scritta, poiché incide sulla costituzione o modificazione di un diritto su bene immobile; tuttavia, non è necessario che tale titolo si concreti in un'espressa dichiarazione di volontà, ma è sufficiente che esso offra elementi che facciano ritenere che la parte immobiliare di cui trattasi, diversamente da quanto desumibile dalla sua desti- nazione di fatto, sia di proprietà esclusiva di un determinato soggetto"
(Cass. 29/05/1976, n. 1955)


" In tema di condominio in complesso immobiliare costituito da più fabbricati, il locale che risulti strutturalmente parte integrante di uno dei detti fabbricati può ritenersi oggetto di comunione in favore di tutti i condomini del complesso, anziché soltanto di quelli dell'indicato fabbricato, esclusivamente in forza di specifico titolo, e non anche per la circostanza della sua destinazione a sede delle assemblee condominiali dell'intero complesso immobiliare; tale destinazione del locale, infatti, non è rivolta a soddisfare un bisogno connesso al godimento dei singoli appartamenti, e, pertanto, non è di per sé idonea a comportarne una presunzione di comunione, secondo la previsione di cui all'art. 1117 c.c."
(Cass. 10/11/1976, n. 4139)


"In tema di condominio di edificio, il titolo contrario, idoneo ad escludere dalla comunione un bene oggettivamente destinato all'uso comune (art. 1117 c.c.), è soltanto atto costitutivo del condominio medesimo, ovvero un successivo atto modificativo, cui abbiano partecipato tutti i condomini; al fine indicato, pertanto, può ritenersi operante la clausola del contratto di compravendita del singolo appartamento solo se ed in quanto riportata in tutti gli atti di acquisto degli altri appartamenti"
(Cass. 15/11/1976, n. 4237)


"La presunzione di comproprietà stabilita dall'art. 1117 c.c. concerne sia gli elementi che strutturalmente costituiscono l'edificio quale complesso unitario (il suolo su cui esso sorge, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, i lastrici solari, le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le altre parti che siano necessarie all'uso comune), sia i locali destinati ai  servizi comuni, anche se strutturalmente autonomi rispetto all'edificio, sia le opere, le installazioni ed i manufatti che servono all'uso ed al godimento comune (addizioni, rispetto alla struttura dell'edificio)" .
(Cass. 21/03/1977, n. 1090)


"Anche rispetto alle parti dell'edificio in condominio che, per posizione o altri elementi obiettivi, rivelano l'attitudine funzionale al servizio condominiale, per cui si presumono comuni, occorre verificare in concreto se, in base al titolo e alla situazione di fatto, vi sia effettiva destinazione a tale scopo (fattispecie di cortile coperto in parte con terrazza a livello)".
(Cass. 6/12/1978, n. 5772)


"L'art. 1117 c.c. sancisce una presunzione iuris tantum di proprietà comune delle parti dell'edificio in condominio necessarie all'esistenza stessa di questo ovvero destinate in modo permanente all'uso o al godimento comune, che può essere vinta dagli elementi contrari risultanti dal titolo, per tale intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti o delle altre unità immobiliari, nonché il regolamento di condominio ad essi allegato o in essi richiamato, conosciuto e accettato dagli acquirenti (cosiddetto regolamento contrattuale)".
(Cass. 6/05/1980, n. 2984)


"Poiché il condominio negli edifici - con la conseguente presunzione di comunione delle parti comuni di cui all'art. 1117 c.c. - viene ad esistenza per la sola circostanza che la proprietà di piani o di porzioni di piano di un medesimo edificio appartenga a più titolari in proprietà esclusiva, è irrilevante, al fine di escludere tale condominio - e quindi la comunione dei muri maestri e del tetto - l'esistenza di distinti ingressi e l'assenza di locali comuni".
(Cass. 18/01/1982, n. 319)


"La presunzione di comunione, di cui all'art. 1117 c.c., riguarda gli edifici in condominio per piani orizzontali e non è applicabile al fine di dimostrare la comunione di un cortile esistente fra edifici appartenenti a proprietari diversi e destinato all'uso e godimento di uno solo degli edifici quanto all'accesso a questo ed al godimento anche dell'altro edificio quanto all'aria ed alla luce. Pertanto, in tale ipotesi, chi invoca la comunione ha l'onere di provarne i fatti costitutivi".
(Cass. 5/02/1982, n. 674)


"Poiché l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto, e quindi anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse, ed il suolo su cui sorge l'edificio, oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 c.c., è non la superficie, a livello del piano di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l'intero edificio, e, immediatamente, la parte infima dello stesso. Di conseguenza, anche per stabilire a chi spetti la proprietà di un locale dell'edificio condominiale, sottostante al piano terreno, deve farsi riferimento non alle ordinarie norme poste dagli art. 933 e 934 c.c., ma a quelle che regolano la proprietà condominiale, divisa per piani orizzontali, gradatamente accertandosi al predetto fine: a) se il titolo, esplicitamente o implicitamente, attribuisca a taluno la proprietà esclusiva; b) se, tacendo il titolo, la proprietà esclusiva possa riconoscersi ugualmente in quanto acquisita per usucapione; c) se, non potendo neanche accamparsi l'usucapione, il locale, per la sua struttura, non possa considerarsi tra le parti dell'edificio necessarie all'uso comune o tra le cose destinate ad un servizio o al godimento comune, e debba viceversa considerarsi destinato ad uso esclusivo".
(Cass. 4/03/983, n. 1632)


"In tema di condominio degli edifici, il titolo contrario, ai sensi dell'art. 1117 c.c., idoneo a superare la presunzione di comunione di una porzione di fabbricato compresa nell'elencazione della norma medesima, non può essere ravvisato in atti relativi alla proprietà del terreno anteriori alla costruzione di detto fabbricato e di detta porzione".
(Cass. 14/07/1983, n. 4825)


"In tema di condominio degli edifici, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. di  "tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune" si configura solo ove risulti (dall'esito di indagine di fatto riservata al giudice del merito) una relazione strumentale necessaria tra la parte di cui trattasi e l'uso comune e non può essere vinta dalla pura e semplice omessa menzione nel titolo costitutivo del condominio di detta parte come comune, occorrendo, invece, che dal complesso dell'atto emergano, anche se non contenuti in una dichiarazione espressa di volontà, elementi di significato univoco idonei a far ritenere che la parte immobiliare in contestazione, diversamente da quanto sarebbe desumibile dalla sua destinazione di fatto, sia proprietà esclusiva di un determinato soggetto".
(Cass. 5/04/1984, n. 2206)


"La presunzione di proprietà dell'edificio ai sensi dell'art. 1117 c.c. può essere vinta solo se dal titolo risultino, in modo chiaro ed univoco, elementi che siano in contrasto con l'esercizio del diritto del condominio, ovvero facciano ritenere che le cose, od alcune di esse, siano state attribuite in proprietà esclusiva ad un solo o ad alcuni dei condomini".
(Cass. 26/04/1984, n. 2622)


"Per il superamento della presunzione di comunione non è sufficiente che il contrario risulti da un atto di compravendita successivo alla costituzione del condominio, ma vale il negozio posto in essere da colui o da coloro che hanno costituito il condominio dell'edificio, poiché tale negozio, rappresentando la fonte comune dei diritti dei condomini, ne determina l'estensione e le limitazioni reciproche."
(Cass. 25/05/1984, n. 3236)


"Elemento indispensabile per poter configurare l'esistenza di una situazione condominiale è rappresentato dalla contitolarità necessaria del diritto di proprietà sulle parti comuni dell'edificio, in rapporto alla specifica funzione di esse di servire per l'utilizzazione e il godimento delle parti dell'edificio medesimo. Pertanto, anche in presenza di più edifici strutturalmente autonomi, ciascuno appartenente a un unico soggetto, è dato profilare una situazione condominiale allorché tali edifici fruiscano, per la loro utilizzazione e il loro godimento, di ope- re comuni anche se strutturalmente distaccate (portineria, garage, parco, viali d'accesso eccetera).(Nella specie, si è esclusa l'applicazione delle norme che disciplinano il condominio, perché il corpo di fabbrica, costituito dall'edificio, e quello destinato ad autorimessa erano strutturalmente indipendenti, cioè autonomi in senso statico e funzionale e non avevano in comune alcuna delle parti elencate nell'art. 1117 c.c.).
(Cass. 20/10/1984, n. 5315)


"In caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall'originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione "pro indiviso" di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano - in tale momento costitutivo del condominio - destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso: ciò sempre che il contrario non risulti dal titolo, cioè che questo non dimostri una chiara ed univoca volontà delle parti di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri".
(Cass. 13 aprile 1987, n. 3671)


"La presunzione legale di proprietà comune di alcune parti dell'edificio in condominio, che si sostanzi sia nella destinazione all'uso comune del manufatto, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa il condominio dalla prova del suo diritto ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, con la conseguenza che quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'art. 1117 c.c. (la cui elencazione non è tassativa) è onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia sufficiente il suo titolo di acquisto ove lo stesso non contenga in mo- do chiaro ed inequivocabile elementi utili ad escludere la condominialità del bene".
(Cass. 7/06/1988, n. 3862)


"La presunzione di comunione enunciata dall'art. 1117 c.c. non è assoluta e viene meno quando una delle parti considerate da tale norma serve, per caratteristiche strutturali e funzionali, al godimento di una porzione dell'immobile che costituisca oggetto di autonomo e separato diritto di proprietà, in quanto la destinazione particolare vince la presunzione legale di comunione alla stessa stregua di un titolo contrario".
(Cass. 1 /08/1990, n. 8233)


"La presunzione legale di proprietà comune di alcune parti dell'edifi- cio in condominio, che si sostanzi sia nella destinazione all'uso comune del manufatto, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collet- tivo, dispensa il cono di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà di entrambi i contraenti".
(Cass. 23/02/1991, n. 1915)


"Per vincere in base al titolo la presunzione legale di proprietà co- mune delle parti dell'edificio condominiale indicate nell'art. 1117 c.c, non è sufficiente il frazionamento- accatastamento e la relativa tra- scrizione eseguiti a domanda del venditore-costruttore della parte dell'edificio in questione, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, dovendo riconoscersi tale effetto soltanto al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà di en- trambi i contraenti"
(Cass. 23/02/1991, n. 1915)


Elementi comuni: caratteristiche ed accertamento:
- edificio, suolo, sottosuolo e intercapedini

Poiché l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto e quindi anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse, il suolo su cui sorge l'edificio, oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., è non la superficie, a livello del piano di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno sulla quale viene poggiare l'intero edificio, e, immediata- mente, la parte infima dello stesso. Ne consegue che il vespaio", consistente in riempimento calcareo a nido d'ape in terra di riporto, sottostante al pavimento del piano terra, che vi viene poggiato, non rientra nell'ambito del suolo comune a norma dell'art. 1117 cod. civ., bensì costituisce un manufatto ben distinto dalle fondazioni ed al servizio esclusivo della unità immobiliare al piano terreno e poggiante sul suolo comune.

Cassazione Civile 
Sez. II, sent. n. 6357 del 07 Giugno 1993
Sez. II, sent. n. 6357 del 07-06-1993, Lollobrigida c.
Filippi (rv 482695). 
 



Per i condomini, che siano esentati, dal regolamento di condominio, dal concorso alle spese di conservazione di una delle parti dell'edificio, indicate nell’articolo 1117 del Cc, vien meno la presunzione di loro comproprietà nei riguardi di detta parte del fabbricato condominiale.
(Cass. 26.01.1998, n.714)



Cose Comuni - Presunzione - Titolo contenente una diversa regolamentazione - Condizioni - Limiti.
"Il titolo, cui si riferisce l'articolo 1117 del Cc e dal quale va tratta la regolamentazione dei rapporti tra i condomini e dei loro diritti sulle parti dell'edificio indicate nella disposizione di legge in termini diversi rispetto a quanto previsto nello stesso articolo 1117 del Cc, è solo il negozio posto in essere da colui o da coloro che hanno costituito il condominio dell'edificio e che, essendo la fonte comune dei rispettivi diritti delle parti, ne determina l'estinzione e le limitazioni reciproche, spiegando tale efficacia tra le parti stesse.
(Cass. 19/01/2004, n. 713)


La comune proprietà delle parti condominiali si deduce dal primo atto costitutivo 

I Supremi giudici, hanno chiarito che per verificare la sussistenza o meno di un titolo contrario alla presunzione di proprietà comune su una delle parti dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c., occorre far riferimento all’atto costitutivo del condominio, ossia al primo atto di trasferimento di proprietà dall’originario unico proprietario al primo acquirente di unità immobiliare. In detto atto, essendo fonte comune dei rispettivi diritti delle parti, sono determinati anche l’estensione ed i limiti dei diritti del singolo condomino sulle parti comuni dell’edificio.
In tal maniera, ove in un atto di acquisto risulti chiaramente l’attestazione di proprietà di un singolo condomino su di un bene che per legge (art. 1117 c.c. citato) sarebbe comune, la presunzione di comproprietà viene definitivamente meno.
Viceversa, qualora il bene nasca di proprietà comune, a nulla varrà la disposizione del singolo condomino – anche di una delibera assembleare presa a maggioranza  - tesa ad attribuirne la proprietà ad un terzo. Ciò sarà possibile con una nuova convenzione presa con la volontà di tutti in partecipanti al condominio
.

(Cass. Civ. 30.08.2004 n. 17397)



 Appropriazione della cosa comune

 - Massima: L'articolo 1102 del codice civile vieta, in assenza di uno specifico accordo concluso tra tutti i titolari del diritto (comproprietari), che il singolo partecipante possa attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e sottrarlo in tal modo alla possibilità di godimento degli altri comproprietari. Ed, infatti, allorché la cosa comune sia sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo, nei termini funzionali originariamente praticati, non si rientra più nemmeno nell'ambito dell'uso frazionato consentito, ma nell'appropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale è necessario il consenso negoziale (espresso in forma scritta ad substantiam) di tutti i partecipanti.

Cass. Sezione II, Sentenza 6 novembre 2008, n. 26737

 


 

 ACQUA CONDOTTA

 


" L'impianto idrico condominiale svolge una funzione comune, generale ed è una tipica struttura condominiale, anche se realizzato con un fascio di tubi distinti invece che con una condotta collettiva unica, fino all'ingresso nella singola unità immobiliare privata, dove cioè il tubo passa al servizio esclusivo della porzione di proprietà individuale: fino a quel punto l'impianto è di proprietà del condominio che infatti può modificarne il percorso, la consistenza e il servizio, frazionandolo, unificandolo, allacciandovi derivazioni, o apportando altre variazioni di interesse comune, naturalmente assicurandone la funzione a tutti i condomini."
(Trib. Roma, 17/03/1988)



" Negli edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni con un impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'art.1102 del c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di distanze, onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva proprietà. Tale disciplina tuttavia non può trovare applicazione nell'ipotesi di installazione di impianti che, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito, debba- no considerarsi indispensabili a fini di una reale abitabilità dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa rispettosa dell'evoluzione delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei a evitare danni alle unità immobiliari altrui. (Nella specie, in applicazione del riferito principio, si è ritenuto che legittimamente un condomino in occasione della realizzazione di un nuovo locale bagno avesse fatto passare all'interno del muro comune le tubazioni e gli scarichi, in violazione dell'art.889 del c.c. e che in una tale evenienza fosse onere della parte che deduceva la violazione delle norme sulle distanze dimostrare che il nuovo locale bagno poteva essere realizzato senza la violazione dell'art.889 del codice civile)."
( Cass. 26/10/2001, n.13285)


AREE  COMUNI 
(CORTILI, PARCHEGGI, GIARDINI)


"Anche gli spazi liberi disposti all'esterno delle facciate dell'edificio come le aree destinate a giardino, anche se non menzionati dall'art. 1117 c.c., vanno presunti comuni a norma di tale disposizione"
(Cass. 18/03/1972, n. 828)


"Le aree di parcheggio sono oggetto di proprietà (o di uso) comune se diversamente non risulti dal titolo di acquisto".
(Cass. 16/11/1978, n. 5300)


"Rientra nella previsione dell'art. 1117 c.c., ed è quindi di proprietà comune se il contrario non risulta dal titolo, lo spazio a livello del suolo su cui insiste un edificio costruito su piloni (c. d. piano "pilotis").
(Trib. Casale Monferrato 24 febbraio 1984)


"Nella nozione di cortile devono intendersi compresi anche gli spazi esterni che, oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altresì l'esigenza dell'accesso alla via pubblica".
(Cass. 4/10/1971, n. 2712)


"La presunzione di comunione dei cortili di fabbricati in condominio, prevista dall'art. 1117 c.c., si estende anche ai cortili compresi tra edifici limitrofi, anche se appartenenti a proprietari diversi, poiché tale presunzione si fonda sulla normale destinazione del cortile al servizio dell'edificio in condominio, e tale situazione può verificarsi anche nell'ipotesi di destinazione all'uso ed alle necessità di più edifici limitrofi; per vincere la presunzione è necessario che il titolo contrario (e cioè l'attribuzione in proprietà esclusiva) risulti in modo inequivoco, apprezzabile incensurabilmente dal giudice del merito".
(Cass. 8/10/1975, n. 3197)


"Il cortile del quale prendono aria e luce gli appartamenti di un edificio condominiale si presume di proprietà comune di tutti i condomini, se il contrario non risulti dal titolo, e cioè dal negozio costitutivo del condominio".
(Cass. 2/08/1976, n. 3004)


"La norma dettata dall'art. 1117, n. 1, c.c., con riguardo ai cortili negli edifici condominiali, è applicabile, per analogia, anche ai cortili ed agli spazi permanentemente destinati per l'uso e per l'accesso ad edifici limitrofi, appartenenti a proprietari diversi, con la conseguenza che quei cortili e quegli spazi si presumono in comunione fra i predetti proprietari, fino a prova contraria.
(Cass. 13/10/1976, n. 3411)


"Il cortile, compreso fra edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, deve presumersi oggetto di comunione, in applicazione analogica dell'art. 1117, n. 1, c.c., ove risulti obiettivamente e prevalentemente destinato a dare aria e luce alle rispettive proprietà individuali, mentre rimane irrilevante, a tal fine, che gli indicati fabbricati affaccino direttamente sul cortile, ovvero ne siano separati da porzioni di aree scoperte, costituenti parti integranti dei fabbricati stessi".
(Cass. 13/12/1977, n. 5426)


"La destinazione di un'area a cortile è elemento determinante per stabilire che i diritti dei proprietari delle parti edificate, che vi si affacciano, comprendono anche l'apertura di nuove finestre e di nuovi accessi, solo quando non vi è un titolo che fissi la proprietà del cortile stesso; in tal caso la destinazione fa sorgere per il cortile la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. con la conseguente applicazione del regime dell'art. 1102 c.c. sia nel caso che esso si trovi in un edificio condominiale sia nell'altro, in cui un edificio, originariamente appartenente a un solo Proprietario, sia stato diviso in parti del tutto autonome verticalmente e perciò prive di ogni rapporto condominiale tra loro; per contro, quando vi è un titolo che attribuisca l'area del cortile in proprietà esclusiva al titolare di una unità condominiale ovvero di una parte autonoma dell'edificio originariamente unico, la disciplina giuridica dei rapporti tra cortile ed altrui proprietà si rinviene soltanto nel suddetto titolo".
(Cass. 25/07/1978, n. 3721)


"Poiché la proprietà comune di un cortile o di una scala può essere stabilita convenzionalmente anche con riguardo a beni immobili che formano oggetto di proprietà distinta da tale comproprietà, non può inferirsi la costituzione di un condominio tra i titolari delle distinte proprietà immobiliari, con la conseguenza che, in mancanza di prove da fornire da chi la deduce, non può affermarsi la comproprietà, a norma dell'art. 1117 c.c., dei muri perimetrali dei vani terranei che delimitano il cortile comune, essendo a tal fine irrilevante anche la loro funzione di recinzione del cortile, potendo tali muri adempiere la funzione di recinzione, anche se di proprietà esclusiva del proprietario dei suddetti vani".
(Cass. 7/12/1978, n. 5813)


"Nell'ipotesi di un cortile compreso in un fabbricato condominiale, ma di proprietà esclusiva di uno dei condomini, i rapporti tra i relativi diritti dominicali, ove non disponga il titolo, vanno regolati secondo la disciplina dei rapporti di vicinato".
(Cass. 14/07/1981, n. 4605)


"La presunzione di proprietà comune dei cortili, dettata dall'art. 1117 c.c. in materia di condominio, è applicabile anche nel caso in cui un cortile sia circondato da edifici appartenenti a proprietari diversi. A vincere la presunzione di comunione - la quale trae origine dal silenzio del titolo - è necessario che il titolo contrario - vale a dire l'attribuzione di proprietà esclusiva ad una o a più determinate persone - risulti in modo non equivoco".
(Cass. 18/01/1982, n. 318)


"Il cortile (sia esso interno al fabbricato condominiale ovvero racchiuso da costruzioni di proprietà distinta e destinato a dare ad esse accesso, luce ed aria) rientra fra le cose in comunione ex art. 1117 c.c. che i proprietari pro quota usano iure domini e non iure servitutis, con la conseguenza che il comportamento relativo del singolo partecipante alla comunione costituisce utilizzazione legittima della cosa comune ex art. 1102 c.c., se mantenuto nei limiti posti dalla norma stessa (nella specie, transito pedonale e veicolare attraverso il cortile, previa apertura di nuovi accessi ad esso attraverso il muro delimitante fabbricati insistenti sul cortile stesso)".
(Cass. 23/11/ 1982, n. 6336)


"Allorché un cortile già appartenente ad un condominio diventi proprietà individuale, da un lato il proprietario è obbligato a rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione e dall'altro i proprietari dell'immobile a cui era annesso il cortile non possono creare nuove vedute (né altre servitù) e debbono da quel momento rispettare le norme sulle distanze legali tra proprietà confinanti".
(Cass. 7/01/1984, n. 101)


"In un edificio in condominio la funzione naturale di un cortile, di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano, non è in- compatibile con l'appartenenza o la destinazione di esso all'uso esclusivo di uno o più condomini, né l'obbligo da parte di costoro di rispettare quella funzione comporta il sorgere di diritti particolari in favore degli altri partecipanti al condominio".
(Cass. 20/02/ 1984, n. 1209)


"Con riguardo all'utilizzazione del sottosuolo di un cortile interno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo condomino per l'installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua proprietà esclusiva, la configurabilità di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino (denunciabile con azione di reintegrazione o manutenzione) postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da parte di questo altro condomino (corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà e non di un mero diritto di servitù di passaggio), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di accesso, affaccio, luce ed aria dei singoli partecipando, oltre che, ad colorandam possessionem, dalla sua inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell'edificio (artt. 1117 c.c.), nonché l'accertamento ulteriore che l'indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore, traducen- dosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di questo ultimo".
(Cass. 28/01/ 1985, n. 432)



"L'impugnazione della deliberazione dell'assemblea condominiale con cui è stata stabilita la destinazione del cortile comune all'uso esclusivo di alcuni condomini non è soggetta a decadenza per mancata osservanza del termine di cui all'art.1137 cod. civ. trattandosi di un motivo di nullità, non di annullabilità, della citata delibera."

(Trib. Milano, 12 febbraio 1987)


"Lo stabilire se in concreto una determinata area adiacente ad un edificio in condominio costituisca, o meno, pertinenza dell'entità condominiale, e faccia parte della struttura del condominio stesso, esige una valutazione dello stato effettivo dei luoghi e dei rapporti strutturali intercorrenti tra i manufatti condominiali e la suddetta area, che si traduce in un apprezzamento di fatto incensurabile in Cassazione".
(Cass. 16/04/1988, n. 2999)


"In tema di condominio di edifici l'apertura di un varco su un  muro comune che metta in comunicazione il terreno di proprietà esclusiva di un singolo condomino con quello comune non dà luogo alla costituzione di una servitù (che richiederebbe il consenso di tutti i condomini) quando il terreno comune viene già usato come passaggio pedonale e carrabile, sempre che l'opera realizzata non pregiudichi l'eguale godimento della cosa comune da parte degli altri condomini, vertendosi in una ipotesi di uso della cosa comune a vantaggio della cosa propria che rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio."
(Cass. 11/08/1999, n.8591)


<Pozzo luce >

"Correttamente il giudice del merito, in assenza di un titolo contrario, ritiene la natura comune del pozzo luce, ai sensi dell'articolo 1117 del Cc, trattandosi di un cortile di piccole dimensioni circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari. Essendo sottoposto, il riferito bene, al medesimo regime giuridico del cortile, esattamente è disposta la condanna di uno dei condomini a rimuovere la tettoia installata sullo stesso ".
(Cass. II, 16/09/2003, n.13561)


Innovazioni vietate - Area cortilizia - Assegnazione di posti di parcheggio in via esclusiva - E' tale.

"Integra una innovazione vietata ai sensi dell'articolo 1120, comma 2, del Cc l'assegnazione in via esclusiva e nominativa, ai condomini, di posti di parcheggio nel cortile-giardino di proprietà comune, atteso che viene a incidere sulla sfera dei diritti reali dei condomini, in quanto sottrae all'utilizzo di quei condomini che non posseggono la seconda macchina una parte rilevante della cosa comune."
(Cass. 22/01/2004, n. 1004)


 

"L'uso particolare del cortile comune da parte di un singolo condomino è legittimo a condizione, da un lato, che il manufatto realizzato non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, dall'altro, che non escluda, per gli altri, la possibilità di fare del cortile medesimo analogo uso particolare. Correttamente pertanto il giudice del merito ritiene illegittima la realizzazione, nel cortile comune, di un vano scale allo scopo di consentire un nuovo accesso al seminterrato di proprietà di un singolo condomino qualora accerti che tale manufatto, per le  sue caratteristiche strutturali e dimensionali compromette l'uso e il godimento del cortile comune come esercitato in pre- cedenza da parte degli altri condomini."
(Cass. 21/07/2004, n.13600)


ASCENSORE 


"Il regolamento di condominio può contenere una clausola la quale affermi che la proprietà comune si estende agli ascensori, clausola che non vale a sottoporli al regime della comunione in generale, ben- sì vale a rendere assoluta la presunzione relativa di cui all'art. 1117 c.c., con conseguente applicazione della normativa condominiale ed, in particolare, degli artt. 1120 e 1121 c.c.".
(Cass. 12/11/1970, n. 2373)


"L'ascensore, quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini, non costituisce proprietà comune di tutti i condomini, bensì appartiene in proprietà a quei condomini che l'hanno impiantato a loro spese, salvo la facoltà degli altri condomini prevista dall'art. 1121, ultimo comma, c.c., di partecipare successivamente all'innovazione".
(Cass. 18/11/ 1971, n. 3314)


"Non risultando il contrario dai titoli di acquisto delle singole proprietà individuali, l'ascensore deve considerarsi di proprietà comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poi- ché occorre far riferimento non all'utilizzo in concreto, ma alla potenzialità del medesimo".
(App. Bologna  1/04/1989) 


CITOFONO E PORTONE


"Non sono innovazioni gravose o voluttuarie le opere seguenti, in quanto volte alla sicurezza dei beni, ovvero di utilità intrinseca ed immediata: la sostituzione di portone di ingresso con altro di metallo, la messa in opera per il portone di ingresso di serratura elettrica e del dispositivo di chiusura automatica, il rifacimento in travertino del rivestimento dell'androne, la messa sotto traccia dei cavi dell'energia elettrica e del telefono, l'impianto citofonico, la trasformazione della fornitura e distribuzione dell'acqua potabile dal metodo a luce tassata a quello a contatore". 
(Trib. Roma 7-02-1969)


" La sostituzione di un portone con uno nuovo è una lecita modifica.
(Trib. Roma, Sez. 20-11-1975)


"L'installazione di un impianto di campanello e citofono, per consentire il collegamento con l'esterno di un appartamento in edificio condominiale e l'apertura del portone di quest'ultimo, non integra imposizione di servitù a carico della proprietà condominiale, ma configura un uso del bene comune, legittimo nei limiti in cui non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso."
(Cass. 22-06-1982, n. 3795)


FOGNATURA


"Nell'ipotesi di cose destinate in modo permanente all'uso di edifici limitrofi, ma ubicate nell'area di uno solo di essi (nella specie: scarico fognario), l'applicabilità della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. postula che quella destinazione all'uso comune sia avvenuta allorché era ancora unico il proprietario di entrambi gli edifici, atteso che, ove questi abbia venduto anche uno degli appartamenti dello stabile nella cui area si trova quel bene, il bene stesso diventa comune nell'ambito di detto stabile e può essere esteso in comunione a terzi solo con il consenso dei relativi condomini".
(Cass. 19-06-1980, n. 3910)


In tema di condominio, poiché, ai sensi dell'art.1117, comma 3, cod. civ., i canali di scarico sono comuni solo fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva e poiché la "braga" di raccordo tra la colonna verticale di scarico comune e la tubazione orizzontale di pertinenza di un appartamento in proprietà esclusiva è inserita in quest'ultima, dei danni derivati a terzi dalla rottura di tale "braga" risponde il condomino e non il condominio.
(Cass. 17/03/2005, n. 5792)
 


LOCALI COMUNI


"Per l'art. 4 lett. b) R.D.L. 15 gennaio 1934, n. 56 (corrispondente al n. 2 dell'art. 1117 vig. c.c.) erano da considerarsi comuni, salvo titolo contrario, oltre ai locali destinati ad uso di portineria ed alloggio del portiere, anche quelli adibiti a lavanderia e quelli contenenti i serbatoi dell'acqua, gli impianti di riscaldamento comune e simili. A quelli suindicati va assimilato un locale destinato alla raccolta di rifiuti, ossia a un servizio di comune interesse per i condomini; a nulla rileva che detto locale, originariamente approntato per il soddisfacimento di esigenze generali e fondamentali del condominio, non sia stato mai utilizzato per lo scopo per cui era stato costruito, perché la presunzione di comunione può essere superata solo dal titolo".
(Cass. 11/02/ 1966, n. 428)


" Qualora nel cortile oggetto di proprietà individuale, ancorché posto in uno stabile condominiale, risultino costruiti due locali contenenti la caldaia e la pompa dell'acqua dell'edificio, per decidere se detti locali appartengano, in virtù di accessione, al proprietario del cortile o siano, invece, oggetto di proprietà comune a tutti i condomini, non basta fondarsi sul rilievo che i titoli di acquisto nulla dispongono in ordine ai locali, i quali pertanto vanno considerati comuni, ma occorre svolgere un'indagine intorno all'epoca in cui essi vennero costruiti rispetto all'epoca in cui vennero acquistati gli appartamenti e occorre, altresì, tener presente il comportamento delle parti successivo alla creazione del condominio".
(Cass. 11/06/ 1973, n. 1680)


" In tema di condominio in complesso immobiliare costituito da più fabbricati, il locale che risulti strutturalmente parte integrante di uno di detti fabbricati può ritenersi oggetto di comunione in favore di tutti i condomini del complesso, anziché soltanto di quelli dell'indicato fabbricato, esclusivamente in forza di specifico titolo, e non anche per la circostanza della sua destinazione a sede delle assemblee condominiali dell'intero complesso immobiliare. Tale destinazione del locale, infatti, non è rivolta a soddisfare un bisogno connesso al godimento dei singoli appartamenti, e, pertanto, non è di per sé idonea a comportarne una presunzione di comunione, secondo la previsione di cui all'art. 1117 n. 2 C.C."
(Cass. 10/11/ 1976, n. 4139)


"Nell'ipotesi in cui l'unico proprietario di un edificio diviso in appartamenti destini un appartamento ad alloggio del portiere, si verifica la costituzione di un rapporto pertinenziale tra il detto appartamento, pertinenza destinata a servizio di portierato, e gli altri appartamenti dell'edificio, cose principali; si ha successivamente costituzione di condominio alla morte dell'unico proprietario che, con testamento olografo, procedendo a divisio inter liberos, abbia lasciato ad un figlio l'appartamento avente quella destinazione, espressamente menzionata nel testamento, distribuendo gli altri appartamenti tra gli altri figli, ed abbia disposto che il figlio al quale veniva lasciato l'apparta- mento destinato a servizio di portierato, stante questa destinazione, "dovrà percepire la relativa pigione dal condominio"; convenuto il condominio in giudizio dal proprietario dell'appartamento con la detta destinazione perché venisse dichiarata cessata la locazione che si sarebbe costituita fra le parti relativamente a quell'appartamento, incorre nel vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia il giudice che ritenga costituito il detto rapporto di locazione, per effetto della disposizione testamentaria, fondando il suo convincimento sul termine "pigione" usato dal testatore: sarebbe stato necessario accertare se il testatore aveva inteso mantenere ferma la destinazione pertinenziale imponendone il rispetto agli credi con disposizione modale."
(Cass. 22-08- 1978, n. 3910)


"La presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c. sussiste con riguardo ai locali destinati a portineria e ad abitazione del portiere quando gli stessi facciano parte dell'edificio condominiale, con la conseguenza che, in caso contrario, non operando la presunzione di comunione, i detti locali rientrano tra le parti condominiali soltanto se siano costruiti su suolo, risultante in base ai titoli di proprietà comune".
(Cass. 23-08-1986, n. 5154)


" Le parti dell'edificio condominiale (locali per la portineria e per  l'alloggio del portiere ecc.) indicate aln. 2) dell'art. 1117 c.c., che, al pari di quello indicate ai nn. 1) e 3) dello stesso articolo, sono oggetto di proprietà comune se il contrario non risulta dal titolo, sono anche suscettibili, e differenza delle parti dell'edificio di cui ai citati nn. 1 e 3, di utilizzazione individuale, in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta  necessità; pertanto, in relazione ad esse, occorre accertare, nei singoli casi, se l'atto che le sottrae alla presunzione di proprietà comune contenga anche la risoluzione o il mantenimento del vincolo di desti- nazione derivante dalla loro natura, configurandosi, nel secondo ca- so, l'esistenza di un vincolo obbligatorio "propter rem", fondato su una limitazione del diritto dei proprietario e suscettibile di trasmissione, in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti, anche in mancanza di trascrizione (peraltro possibile ai sensi dell'art. 2646 c.c.)."
(Cass. 25 -080-1986, n. 5167)


"Un manufatto posto nel cortile antistante il fabbricato condominiale ed esterno allo stesso, che non sia stato adibito a servizi comuni (nella specie: portineria) non é, per struttura e funzione, compreso nelle parti comuni dell'edificio condominiale indicate nell'art. 1117 c.c. né può ritenersi tale, in difetto della chiara volontà delle parti risultante dal titolo per il semplice fatto che esso risulti denunziato come adibito a portineria, in quanto la classificazione catastale dei beni ha carattere meramente descrittivo in relazione ad un onere nei confronti della proprietà e non è idonea, quale mezzo sussidiario di prova, a prevalere sulla contraria volontà dei proprietari."
(Cass. 6-11-1987, n. 8222)


MURI MAESTRI


"I muri perimetrali di un edificio condominiale, che per tutta la loro estensione costituiscono oggetto di comunione pro indiviso, sono destinati esclusivamente al servizio dell'edificio medesimo, di cui costituiscono parte organica, con la conseguenza che non possono essere usati dal singolo condomino, in mancanza di preventiva convenzione con tutti gli altri condomini, per l'utilità di altro contiguo immobile di sua esclusiva proprietà".
(Cass. 5-11- 1977, n. 4710)


"L'espressione "muro maestro" contenuta nell'art. 1117 c.c., non va riferita solamente all'intelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce l'ossatura dell'edificio costruito in cemento armato, ma anche ai pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono all'esterno i vani e compongono l'insieme dell'edificio, che, senza di essi, sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalità pratica; le predette murature, concorrendo a formare i muti perimetrali, non servo- no solo a delimitare i singoli appartamenti, ma costituiscono parte organica ed essenziale dell'intero fabbricato condominiale, del quale completano la struttura e la linea architettonica, onde vale anche per esse la presunzione legale di comunione".
(Cass. 13-12-1977, n. 5438)


" I muri perimetrali di un edificio condominiale sono oggetto di proprietà comune anche nelle parti in cui delimitano un piano ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perché anche in quelle parti essi adempiono strutturalmente una funzione che interessa tutti i partecipanti al condominio".
(Cass. 19/05/1978, n. 2475)


" I muri che limitano verso l'esterno gli appartamenti del piano atti- co, anche nei casi in cui non abbiano funzione di sostegno della copertura dell'edificio, non possono essere considerati come avulsi dalla struttura unitaria del fabbricato condominiale, del quale contribuiscono a formare la complessa struttura architettonica; essi pertanto rientrano tra le parti comuni dell'edificio a norma dell'an 1117, n. 1, c.c."
(Cass. 5 /12/1978, n. 5732)


"In tema di condominio negli edifici, debbono comprendersi tra le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, di cui all'art. 1117, n. 1 c.c., la destinazione delle quali, a norma del precedente art. 1102, non può essere alterata dal singolo condominio, le parti definite come tali dal titolo o aventi un'oggettiva attitudine al servizio ed al godimento collettivo, tra esse non rientra un muro, di ridotte dimensioni, delimitante un terreno di proprietà esclusiva di un condomino, ove risulti inidoneo a tutelare la sicurezza del condominio quale muro di cinta, e idoneo soltanto a delimitare la detta proprietà esclusiva come muro divisorio."
(Cass. 26/12/1981, n. 577)


"Poiché il condominio negli edifici, con la conseguente presunzione di comunione delle parti comuni di cui all'art. 1117 c.c., viene ad esistenza per la sola circostanza che la proprietà di piani o di porzioni di piano di un medesimo edificio appartenga a più titolari in proprietà esclusiva, è irrilevante, al fine di escludere il condominio, e quindi la comunione dei muri maestri e del tetto, la esistenza di distinti ingressi e l'assenza di locali comuni ''.
(Cass. 18/01/1982, n. 319)


"In tema di parti comuni dell'edificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui all'art. 1117 c.c. rientrano i pannelli esterni di riempimento fra i pilastri in cemento armato, i quali - ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi - sono anch'essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell'edificio. Né siffatta condominialità viene esclusa dall'essere addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilità che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcuna ingerenza dell'uno sul muro dell'altro".
(Cass. 9-02-1982, n. 776)


"Con riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale è oggetto di comunione per tutta la sua estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a piani e ad appartamenti di proprietà individuale, l'utilizzazione del singolo partecipante deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli altri condomini un pari uso (art. 1102 c.c.), ma anche quando im- plichi una lesione del diritto di altro partecipante sul bene di sua proprietà esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un sottostante appartamento)."
(Cass. 4-05-1982, n. 2751)


"Il condomino di un edificio, essendo comproprietario dell'intero muro perimetrale comune e non di una sola parte di esso corrispondente alla sua esclusiva proprietà, può apportare a tale muro, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all'apertura nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali di proprietà esclusiva, purché non impedisca agli altri condomini di continuare nell'esercizio dell'uso del muro o di ampliarlo in modo e misura analoghi e non alteri la normale destinazione del muro medesimo".
(Cass. 4-03-1983, n. 1637)


"Anche le vetrate che sostituiscono i muri perimetrali sono da considerarsi comuni"
(Trib. Milano 13-06-1983)


"In tema di condominio negli edifici, la circostanza che un muro di sostegno di un giardino di proprietà esclusiva sovrasti un sottostante terreno di proprietà condominiale, adibito a passaggio, non è di per sé sufficiente all'inclusione del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine al- l'onere delle spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio."
(Cass. 19-01-1985, n. 145)


"I muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., in quanto determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato proteggendolo degli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso, pertanto, nell'ambito dei muri comuni dell'edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dell'immobile".
(Cass. 11-06- 1986,  n. 3867)


" I muri perimetrali di un edificio, anche se relativi a chiostrine o cortili su cui affacciano solo una parte dei condomini, sono comuni a tutti i proprietari di unità immobiliari dello stabile, in quanto, costituendo l'ossatura della costruzione, svolgono una funzione di utilità comune, anche se, ovviamente, più intensa per coloro che hanno appartamenti prospicienti su dette chiostrine o cortili. Pertanto, alle assemblee condominiali che devono deliberare su argomenti interessanti i muri perimetrali hanno diritto di partecipare tutti i condomini dello stabile e non solo quelli che, per la particolare posizione delle loro unità immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio particola- re rispetto al vantaggio generale e comune derivante dalla naturale funzione degli stessi."
(Cass. 12-12- 1986, n. 7402)


Rientrano nell'ambito dei muri condominiali, ex art. 1117 n. 3 c.c., anche i parapetti posti alla sommità dell'edificio, svolgendo funzione di coronamento dell'intero stabile, le cui spese di riparazione debbo- no essere ripartite fra i condomini ex art. 1123 c.c.; pertanto, la determinazione della maggioranza dei condomini partecipanti all'assemblea di esonerare alcuni condomini dall'onere di spesa, con pregiudizio per i proprietari gravati, costituisce una tipica violazione dei diritti individuali sindacabili sotto il profilo della nullità.
(App. Milano 15-09-1989)


"Le spese per la tinteggiatura dei muri esterni e degli infissi di una singola immobiliare non possono essere poste a carico del  proprietario, se non risulti da apposita deliberazione assunta con il consenso di tutti i condomini."
(Trib. Padova, 14 settembre 1990)


"Ai sensi del combinato disposto degli artt.1102 e 1139 cod. civ., costituisce uso legittimo della cosa comune l'utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori."
Trib. Trani, 19 gennaio 1991)


"Le attribuzioni dell' assemblea, ai sensi dell'art. 1135 del Cod. civ., non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri fissati dalla legge. Pertanto, la deliberazione assembleare che deroghi dalle norme di legge, incidendo sui diritti individuali del singolo condomino, è inefficace nei confronti del condomino dissenziente per nullità radicale, deducibile senza limitazioni di tempo (non essendo meramente annullabile)".
(Cass. 19-11-1992, n. 12375)


SCALA E ANDRONE


"La scala che serve stabili appartenenti a diversi proprietari, deve essere considerata strutturalmente e funzionalmente bene comune indivisibile per presunzione di legge, salvo titolo contrario: devono altresì ritenersi comuni i muretti che la fiancheggiano e che svolgono la funzione di parapetto e di ringhiera-appoggio."
(Cass. 24-04-1972, n. 1295)


"I pianerottoli, quali componenti essenziali delle scale comuni, sono per presunzione di legge, salvo diverso titolo, comuni tra tutti i condomini; essi non possono essere, quindi, incorporati nell'appartamento di proprietà esclusiva del singolo condomino, in quanto tale incorporazione costituisce un'alterazione della destinazione della cosa comune ed un'utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini".
(Cass. 16-12- 1974, n. 4299)


"L'androne e le scale di un edificio sono oggetto di proprietà comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., anche dei proprietari di locali terranei, che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituisco- no elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato come diviso in proprietà individuali, per piani o porzioni di piano, e rappresentano, inoltre, tramite indispensabile per il godimento e la conservazione, da parte od a vantaggio di detti soggetti, delle strutture di copertura, a tetto od a terrazza; è pertanto legittima, e non costituisce spoglio, l'apertura praticata dal proprietario esclusivo di un terraneo con accesso diretto dalla strada, per accedere all'androne, in quanto diretto ad utilizzare una parte dell'edificio da ritenersi comune, senza pregiudizio per gli altri condomini".
(Cass. 5 -02-1979, n. 761)


"I pianerottoli, quali elementi essenziali della scala di accesso ai diversi piani dell'edificio in condominio, sono per presunzione di legge, salvo diverso titolo, in comproprietà fra tutti i condomini; pertanto la loro utilizzazione da parte dei singoli condomini è soggetta alla disciplina propria dell'uso individuale della cosa comune, con la conseguenza che è del tutto legittima la creazione di un secondo ingresso ad un appartamento di proprietà esclusiva, in corrispondenza dei pianerottolo antistante, ove non limiti il godimento degli altri condomini e non arrechi pregiudizio all'edificio ed al suo decoro architettonico". 
(Cass. 10-02-1981, n. 843)


"Nell'ipotesi in cui un androne costituisca parte comune di due contigui edifici uno dei quali appartenente ad un solo proprietario e l'altro costituito in condominio, qualora nei vari contratti di acquisto delle singole porzioni di piani sia stata inserita la clausola, recepita anche nel regolamento di condominio, di immutabilità dell'androne predetto senza la concorde volontà di tutti i condomini, non è valida la modificazione dell'androne disposta sulla base della volontà dell'unico proprietario dell'edificio indiviso e di una deliberazione dell'assemblea condominiale formata ed espressa secondo le disposizioni di legge, ma in contrasto con la volontà anche di un solo condomino comproprietario".
(Cass. 9-12- 1982, n. 6725)


"La controversia instaurata da un condomino che chiede la rimozione di un cancello posto da altro condomino, con l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini, a chiusura del pianerottolo dell'ultimo piano della scala comune dell'edificio, dopo avere dotato di chiavi tutti gli altri condomini, appartiene, anche quando sia stato chiesto l'accertamento incidentale della nullità della delibera assembleare di autorizzazione, alla competenza del giudice conciliatore perché, non essendovi contestazione sull'esistenza del diritto, è relativa alle modalità di godimento della cosa comune."(C.p.c. art.7; c.p.c. art.42; c.c. art.1117)
(Cass. 19-05-92, n.5979)
 


"Ove al momento della costituzione del condominio, mediante la vendita del primo appartamento di questo, alcune parti del fabbricato siano indicate come comuni (nella specie superficie al piano terra e l'androne), tali parti devono rimanere comuni anche nei confronti dei successivi acquirenti delle altre unità immobiliari con l'ulteriore conseguenza, da un lato, che le stesse non possono essere trasferite in proprietà esclusiva a un terzo, dall'altro, che il trasferimento eventualmente posto in essere dall'originario proprietario non è opponibile agli altri condomini, divenuti comproprietari anche di quelle parti comuni sin dal momento del costituirsi del condominio."
(Cass. 3-05-2002, n.6359)


 SOLAIO


" I solai tra l'una e l'altra sezione orizzontale, cioè tra l'uno e l'altro piano di un edificio, devono considerarsi comuni ai proprietari interessati in applicazione del principio fissato dall'art. 1117 c.c.
(Cass. 5-12-1966, n. 2836)



"La presunzione di comunione dei solai divisori tra piani è fondata non sulla loro funzione di limite delle rispettive proprietà ma sulla loro necessità (nei confronti delle distinte proprietà) per il sostegno dell'appartamento sovrastante e per la copertura di quello sottostante".
(Cass. 3-02-1975, n. 392)


"Nell'ipotesi in cui, a causa del suo deterioramento e per ragioni di ordine tecnico, il solaio esistente fra due piani sovrapposti di un edificio sia sostituito da un diverso tipo di solaio di minor spessore, il proprietario dei piano sottostante, che ne ha conseguito un amplia- mento per maggiore altezza ed una migliore utilizzazione dei suoi locali, non è tenuto a versare alcun compenso al proprietario del piano sovrastante, sempre che non venga menomato il suo godimento sul solaio comune o danneggiata la sua proprietà esclusiva (nella specie con il mantenimento del pavimento del piano superiore allo stesso precedente livello). Infatti, il vantaggio conseguito dal proprietario del piano inferiore non costituisce arricchimento indebito, essendo l'effetto di un'opera eseguita nell'interesse comune, mentre tale sostituzione non comporta lesione del diritto di comproprietà spettante al proprietario del piano superiore, che ha per oggetto il solaio considerato in se stesso e non già lo spazio pieno o vuoto da esso occupato" .
(Cass. 15-02-1982, n. 929)


SOTTOTETTO



"Il "sottotetto" di un edificio in condominio, non essendo incluso tra le parti comuni indicate nell'art. 1117 c.c., non costituisce, in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo, oggetto di comunione e, poiché esso, di regola, assolve una funzione isolante protettiva (dal caldo e dal freddo) del piano più elevato, di questo costituisce normalmente una pertinenza qualora non ne sia dimostrata una destinazione diversa".
(Cass. 14-02-1980, n. 1106)


" Il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'apparta- mento sito all'ultimo piano solo quando assolva la esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria, e, quindi, non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo (deposito, stenditoio ecc.), in quest'ultima ipotesi l'appartenenza va determinata in base al titolo, e, in sua mancanza, poiché il sottotetto non è compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio, essenziali per la sua esistenza (tetto, muri maestri, suolo ecc.) o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 n. 1 c.c. è applicabile solo quando il sottotetto risulti in concreto, per le caratteristiche strutturali e funzionali, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune, o all'esercizio di un servizio d'interesse comune".
(Cass. 18-03- 1987, n. 2722)



" Il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'apparta- mento sito all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria e non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo. In tale ultima ipotesi, l'appartenenza del bene va determinata in base del titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo il sottotetto compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all'uso  comune, la presunzione di comunione ex art.1117 n.1 c.c. è applicabile solo nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato, sia pure in via potenziale, all'uso comune oppure all'esercizio di un servizio di interesse condominiale."
(Cass. sez. II, 20 giugno 2002 n.8968)
 


SUOLO E SOTTOSUOLO


"Nel condominio di edifici, salvo titolo contrario, la proprietà del singolo condomino sul piano terreno è limitata al pavimento del piano, mentre restano comuni il suolo ed il sottosuolo, necessari al sostegno di tutto il fabbricato".
(Cass. 8-07-1972, n. 2301)



"Il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria, sulla quale sorge l'edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune".
(Cass. 27-05-1977, n. 2183)



" L'escavazione è da ritenersi legittima solo quando è diretta alla migliore utilizzazione dell'unità immobiliare immediatamente sovrastante  e quando ciò non danneggi la contemporanea fruizione del suolo da parte degli altri condomini e la sua naturale  destinazione che è quella d fungere da sostegno dell'edificio e di essere sede delle infrastrutture di questo."
(Cass. 04/04/1978, n.1524)



"Ogni condomino è comproprietario, pro quota, in relazione alla sua partecipazione millesimale, del terreno condominiale, coperto o no da costruzioni; anche chi è proprietario di vani non posti al di sopra di detto terreno è comproprietario del terreno stesso".
(Cass. 23-01-1979, n. 506)



"Fuori dall'ipotesi di concessione ad aedificandum o di quella in cui una costruzione già esistente sopra o sotto il suolo venga alienata separatamente dalla proprietà di questo, non è ammissibile la  costituzione di un autonomo diritto di proprietà o di altro diritto reale sul sottosuolo come tale, a meno che tale autonomo diritto abbia per oggetto entità organiche produttive e quindi suscettibili di utilizzazione economica; ne consegue che l'attribuzione a uno dei condomini di una parte dell'edificio posta nel sottosuolo non comporta necessaria- mente l'attribuzione allo stesso della proprietà del suolo su cui sorge l'edificio e la conseguente esclusione di questo dal novero delle cose comuni ex art. 1117 c.c."
(Cass. 28-06-1979, n. 3634)



" Opere che richiedano escavazioni nel sottosuolo comune sono vie- tate quando limitano l'uso ed il godimento da parte di altri condomini."
(Cass. 05/05/1981, n.1300)



"La comunione, anche del suolo, di cui all'art. 1117 c.c. postula che su uno stesso suolo insistano diversi piani o porzioni di piani costituenti un unico edificio, onde le costruzioni fra loro separate, ancor- ché su suolo originariamente del medesimo proprietario, non rientrano nella previsione della citata norma e delle presunzioni di comunione con la conseguenza che con il loro trasferimento viene alienato pure il suolo sul quale esse sorgono, a meno che l'alienante non costituisca soltanto un diritto di superficie in favore dell'acquirente (ai sensi dell'art. 952 c.c.) riservandosi, al momento della vendita, la proprietà del suolo su cui l'immobile insiste (nella specie: il supremo collegio, enunciando il su riportato principio, ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto operante la presunzione di comunione del suolo ex art. 1117 c.c. nel caso appartamenti costruiti su suolo originariamente comune, ma reciprocamente del tutto autonomi, avendo ciascuno di essi propri accessi, proprie scale, propri muri maestri e propri tetti)". 
(Cass. 26-04-1983, n. 2864)


"Il suolo su cui sorge l'edificio, che a norma dell'art. 1117 n. 1 c.c. è presunto comune tra i condomini di un edificio, è soltanto quello occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali esterni, mentre il suolo adiacente o circostante può rientrare tra le cose comuni unicamente per diverso titolo".
(Cass. 13-01- 1984, n. 273)



"La presunzione di proprietà comune viene meno anche quando si tratti di un bene dotato di propria autonomia e indipendenza e non legato, quindi, da una destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale."
(Cass. 29/06/1985, n.3882)


"Per il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dell'edificio condominiale, ancorché non menzionato espressamente da detto art. 1117, va considerato di proprie- tà comune in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, e ciò con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato. Pertanto, un condomino non può senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione procedere alla escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, giacché con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte comune dell'edificio".
(Cass. 11-11-1986, n. 6587)


"Per il suolo su cui sorge l'edificio", con riferimento al quale l'art. 1117 n. 1 c.c. stabilisce una presunzione di comunione, deve intendersi quell'area dove sono infisse le fondazioni che si trova sotto il piano scantinato più basso. Ne consegue che i vani ubicati sopra il "suolo", nel senso indicato, ancorché sotto il livello del circostante piano di campagna, possono presumersi comuni non in forza della estensibilità al sottosuolo della disciplina relativa al suolo, ma solo se ed in quanto risultino obiettivamente destinati all'uso e al godimento comune secondo le altre previsioni contenute nel citato articolo."
(Cass. 28-05-1988, n. 3663)


" Poiché l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va  dalle fondamenta al tetto e quindi anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse, il suolo su cui sorge l'edificio, oggetto di  proprietà comune ai sensi dell'art.1117 c.c., è non la superficie, a livello di campagna, che viene scavata per la posa delle fondamenta, bensì quella porzione del terreno sulla quale viene a poggiare l'intero edificio, e, immediatamente, la parte infima dello stesso. Ne consegue che il "vespaio", consistente in riempimento calcareo a nido d'ape in terra di riporto, sottostante al pavimento del piano terra, che
viene appoggiato, non rientra nell'ambito del suolo comune a norma dell'art.1117 c.c. bensì costituisce un manufatto ben distinto dalle fondazioni ed al servizio esclusivo della unità immobiliare al piano terreno e poggiante sul suolo comune." 
(Cass. 7 giugno 1993, sent. n. 6357) 


TETTI E LASTRICI SOLARI


"Il tetto di un edificio condominiale, in quanto è destinato alla copertura della parte sottostante, deve considerarsi comune ai proprietari interessati, in base alla presunzione ex art. 1117 c.c."
(Cass. 23-12-1968, n. 4054)


"La distinzione tra lastrico solare, soggetto alla presunzione di comunione sancita dall'art. 1117 C.c., e terrazza a livello, oggetto tipico di proprietà esclusiva, è fondata sul rilievo che quest'ultima, oltre ad avere una funzione di copertura rispetto alla sottostante porzione di fabbricato, costituisce strutturalmente e funzionalmente parte integrante dell'appartamento dal quale ad essa si accede".
(Cass. 25-03- 1971, n. 863)


"La qualificazione del tetto e del lastrico solare come parti costitutive dell'intero edificio condominiale e, quindi, come parti costitutive dell'unità organica costituita dal complesso di piani e porzioni di piani unificati in un'unica struttura è elemento necessario e sufficiente a giustificare, anche in caso di proprietà esclusiva del condomino proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, il concorso alle spese di manutenzione". 
(App. Milano 20-01-1978) 


"Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre unità immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 c.c.; in tale ipotesi, pertanto, l'assemblea del condominio, ancorché in sede di approvazione del regolamento, non può disciplinare e limitare il diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario". 
(Cass. 23-10-1978, n. 4782)


"Le norme sul condominio degli edifici, consentendo la divisione del- la proprietà per piani orizzontali, escludono l'applicazione dell'accessione anche nell'ipotesi di costruzioni, quale un giardino pensile in continuazione di una terrazza a livello annessa ad un appartamento, facenti corpo con l'edificio condominiale, ma sporgenti dalla sua linea verticale e gravanti su arca appartenente al condominio: in tal caso occorre accertare in base al titolo o, in mancanza, in base alla presunzione di cui all'art. 1117 c.c. se la riconosciuta comunione dell'arca di base su cui la sporgenza sorge comporti o meno la comunione anche del piano (o dei piani) e delle porzioni di piano (o di piani) sporgenti o comunque sorgenti sopra tale area".
(Cass. 15-03-1980, n. 1738)


"Il lastrico solare riveste, nel quadro della sua normale destinazione,  una duplice attitudine: quella tipica di copertura del fabbricato sottostante e quella di superficie praticabile;  il condomino che, non impedendo un pari uso agli altri partecipanti e lasciando inalterate le possibilità delle concorrenti utilizzazioni, realizzi ex novo una fruizione del secondo tipo per mezzo di opere che consentono un uso più intenso ed agevole di quello precedente (nella specie: si tratta di una scala a chiocciola costruita nella proprietà esclusiva del condomino, attraverso la quale il medesimo accede al lastrico solare di proprietà comune, lasciando inalterato il vecchio passaggio, con scala a pioli, in precedenza utilizzato, in comune, dai vari condomini) non altera per ciò stesso la destinazione del bene, trasformandolo in terrazzo, né viene ad integrare una ipotesi di uso esclusivo ovvero di interferenza sull'equilibrio dei contrapposti interessi condominiali; la sua azione, al contrario, si mantiene nei limiti di normalità di cui all'art. 1102 c.c."
(Pretura Torre Annunziata 19-03-1982) 


"Un condomino non può trasformare un manufatto condominiale avente la sola funzione di copertura (nella specie un tetto) in una terrazza a livello per il proprio uso esclusivo, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102 c.c., nella proprietà esclusiva un bene di uso condominiale, senza che la situazione possa trovare una analogia con l'art. 1127 c.c. (costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio) perché quest'ultima disposizione presuppone il pagamento di una indennità e la ricostruzione dell'intero tetto o del lastrico solare a livello superiore, senza pregiudizio per la proprietà condominiale".
(Cass. 7-01-1984, n. 101)



" Mentre il lastrico solare, al pari del tetto, assolve essenzialmente la funzione di copertura dell'edificio, di cui forma pane integrante sia sotto il profilo meramente materiale, sia sotto il profilo giuridico, la terrazza a livello è invece costituita da una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che per il modo in cui è realizzata, risulta destinata non tanto a coprire le verticali di edificio sottostanti, quanto e soprattutto a dare un affaccio e ulteriori comodità all'appartamento cui è collegata e del quale costituisce una proiezione verso l'esterno".
(Cass. 28-04-1986, n. 29242)


"Le pensiline poste a copertura di mansarde costituiscono parte integrante del tetto, e devono considerarsi di proprietà comune, per cui le relative spese di manutenzione devono ripartirsi tra tutti i condomini secondo il criterio dell'art. 1123, 1° comma, c.c."
(Trib. Milano 20-03-1989)


"Il lastrico solare quale superficie terminale dell'edificio esercita l'indefettibile funzione primaria di protezione dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, come quello del terrazzo. L'anzidetta funzione accessoria del lastrico solare a terrazza in uso esclusivo di un solo condomino, come non fa venir meno la sua destinazione primaria all'uso comune, così in mancanza di un titolo contrario lascia inalterata la presunzione di proprietà comune di cui all'art. 1117 C.C."
(Cass. 1-06-1990, n. 5162)


"Una pensilina sovrastante la mansarda che sia inserita nella superficie del tetto dell'edificio condominiale e che, sporgendo oltre il bordo dei balconi sottostanti, assuma per questi ultimi, una funzione di protezione è da considerarsi destinata all'uso ed al godimento comune, con conseguente presunzione di comunione ex art.1117 c.c."
(Corte di Appello di Milano Sez. I 14/01/92 n.24)


"Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,  con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto, considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi che la predetta utilizzazione menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilità di uso degli altri comproprietari." (C.c. art.1102)."
(Cass. 7/03/1992, n.2774)


USO DELLE PARTI COMUNI


L'articolo 1102 del Cc. consente al comproprietario l'utilizzazione della cosa comune anche in modo particolare e più intenso, ma, ponendo il divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esclude che l'utilizzo del singolo possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale o potenziale, di tutti i comproprietari. Un locale adibito a gabinetto non può, pertanto, essere utilizzato da uno dei partecipanti alla comunione anche per uso di decenza degli avventori di un bar aperto in un locale di sua proprietà esclusiva, giacché tale uso, pur non essendo idoneo all'asservimento del bene, da un lato, modifica  la naturale destinazione del gabinetto a essere utilizzato dai soli comproprietari e, dall'altro, altera il rapporto di equilibrio tra i diritti concorrenti dei singoli comunisti.
(Cass. 19 nov. 2004 n.21902)


Nell'ipotesi di costruzioni eseguite da un condomino sul suolo comune non trovano applicazione, in presenza della disciplina speciale dettata in tema di comunione, le norme relative all'accessione, costituendo innovazione della cosa comune una modificazione della forma o della sostanza del bene che abbia l'effetto di alterarne la consistenza materiale e la destinazione originaria. La realizzazione da parte di un comproprietario di un ulteriore rampa di una scala comune e di un torrino su di un solaio egualmente comune è conseguentemente idonea sia a comportare l'appropriazione da parte sua del vano occupato dalla nuova rampa e dalla superficie del torrino con l'effetto della definitiva sottrazione di questi all'uso degli altri condomini, e sia da apportare modifiche strutturali alla scala e al solaio nella loro primitiva configurazione e il loro assoggettamento a un uso, non solo più intenso, ma estraneo a quello originario.

 


 

LOCAZIONE DELLE PARTI COMUNI

 



" Le parti destinate ad uso comune per pattuizione stabilita negli atti di acquisto, possono essere date in locazione a terzi soltanto per volontà unanime dei condomini."
(Cass. 26/01/1977, n. 385)

 


" La deliberazione della maggioranza di locare un immobile condominiale è obbligatoria per la minoranza dissenziente."  (Tribunale di Udine 11.04.1957)

 


"Nel caso in cui un appartamento condominiale sia stato dato in locazione, spetta alla maggioranza disdire e far cessare il contratto, alla scadenza contrattuale, anche in contrasto con la minoranza dissenziente, in quanto la maggioranza necessariamente stabilisce le modalità di amministrazione e di godimento della cosa comune (in assenza di norme contrattuali a proposito)."

(Cass. 25/07/1995, n. 8085)

 


"Il comproprietario può agire in giudizio per ottenere il rilascio dell'immobile per finita locazione (non più rinnovata), non ricorrendo la necessità di integrazione del contraddittorio con gli altri partecipanti, giacché si presume che esista il consenso della maggioranza di essi".

(Cass. 13.07.1999, n. 7416)

 


" Nella comproprietà indivisa (comunione) i partecipanti possono concedere la cosa in affitto a  terzi ed anche a taluno soltanto dei contitolari. Allo stesso modo, il condomino può concedere in affitto la propria quota."

(Cass. 11.01.2001, n. 330)

 


"L'assemblea nel dare in locazione la cosa comune ad un terzo, preferendolo ad un condomino, non viola l'art. 1102 del Cod. Civ., in quanto la norma di questo articolo tutela l'uso diretto e non l'uso indiretto della cosa comune. L'assemblea può affidare la locazione ad un terzo a condizioni meno vantaggiose rispetto a quelle offerte dal condomino aspirante conduttore, in quanto il suo potere amministrativo non ha il limite del pregiudizio apportato agli interessi dei condomini (limite che invece sussiste per le innovazioni)".

(Cass. 22.03.2001, n. 4270